Candido o l’ottimismo

Candido o l'ottimismo

Adattamento di
Gennaro Maresca e Fabio Casano

Regia di
Gennaro Maresca

con
Candido – Luciano Dell’Aglio
Cunegonda – Elena Fattorusso
Pangloss / Famiglio dell’Inquisizione / Governatore – Michele Danubio
Re dei Bulgari / Cacambo / Martin – Paolo Aguzzi
Vecchia / Marchesa di Parolignac / Paquette – Alessandra D’Elia

Assistente alla regiaFlavia Francioso
Scenografia – Rosario Squillace
Disegno luciLucio Sabatino

Musiche da Scarlatti e Kevin MacLeod
Durata | 75 minuti
Foto | Lavinia D’Elia

Una produzione Teatro Stabile d’Innovazione Galleria Toledo

Quando Italo Calvino introdusse Candido di Voltaire ne presentò immediatamente il ritmo. La velocità con la quale il racconto si svolge è abbagliante, toglie il respiro, nel giro di poche pagine il protagonista è travolto da eventi nefasti che gli tranciano gli affetti più veri, la natura sorprende gli uomini mostrandosi crudele e impietosa. Tutto avviene a gran velocità e in questo turbinio di scene, di momenti inafferrabili passa anche, silenziosa e sottile, tutta l’ineffabilità dell’uomo, con la sua bellezza sublime ma anche con la sua oscura e malvagia essenza; cinico, vuoto, alienato essere umano.
Candido è la velocità con cui, giorno dopo giorno, l’essere umano esiste, si svolge, fa storia. Ma è storia di guerre e sofferenze, di brutture continue e di morte, affinché non ci si accorge dell’orto che ci troviamo di fronte e che va inevitabilmente coltivato, con lo spirito di chi vuole  sopravvivere e sente di dover scrutare ancora per un po’ l’orizzonte, perché non sì ha il coraggio di negarsi la possibilità di scoprirlo. Calvino ci porta per mano e ci presenta Candido soprattutto nel suo aspetto leggero, veloce, vero e sincero.

Candido è certamente l’opera di Voltaire, in embrione, più filosofica: è portante una critica della visione Leibniziana che vuole il mondo assolutamente ordinato e forgiato per essere il migliore dei mondi possibili e qui, magari, Candido si ritrova a camminare su un tappeto di cadaveri o a mangiare con un bulgaro che tenterà di sgozzarlo. Un mondo del contrasto. L’uomo agisce secondo causa ed effetto, ovvio, come tutto, come filosofia, scienza e coscienza ci suggeriscono, ma che sicuramente non ha i mezzi (o forse si) per valutare e prevedere il grado minuscolo o gigantesco dell’essenza stessa dell’essere umano.
Come Candido, il più garbato e delicato dei giovinetti, si ritrovò, suo malgrado, a prendere tante pedate nel culo, sgarbatamente cacciato dal castello della Westfalia: il migliore dei castelli possibili. La scoperta. Se questo è davvero il migliore dei mondi possibili, allora varrà la pena esplorarlo, perquisirne il corpo e assaporarne la bellezza: una geografia fisica e politica dell’animo umano che si risolve in un effetto paesaggistico con la speranza e la magnificenza della terra di Eldorado, un luogo di pace e di bellezza, e in un’immagine concreta e carnale con la delicata figura della bella Cunegonda. Ad Eldorado si vive bene e tutto scorre verso il benessere e la vicinanza tra gli uomini, come a dire che in quei posti l’uomo diviene buono e leale ma in tutto il resto del mondo anche il corpo più innocente, anche Cunegonda, corre il pericolo di cadere sotto il peso incombente della bestia umana, col suo sesso e le sue ferite perpetuamente aperte e là dove questa non arriva, avanza i propri diritti una natura distruttiva.

Candido e l’opinabile idea di poter scampare alla sifilide. Candido è un’opera sull’umano e sul terrore ma lungi da noi considerarla il risultato semplice e distratto di un pensiero pessimista; sarebbe negare completamente il carattere gioviale e acuto dello stesso Voltaire: un indiscusso e abile dialogatore del suo tempo che, del suo tempo, è stato artefice e altissimo pensatore. Candido o il Settecento, secolo dell’uomo che evolve, nei costumi e nei pensieri privati, nella conoscenza di sé e dell’altro: liberi di distruggere qualsivoglia disegno Provvidenziale.

Corre l’obbligo, disarmati da tanta umanità, di tradurre in scena teatrale queste piccole anime in pena, oblunghe per dirla alla Klee che illustrò Candido nel 1911; teatro e scena, inteso tra i drappi e le maschere del carnevale veneziano a cui Candido assiste, teatro e scena, tra le pareti di un castello in Thunder – ten- tronckh , invaso dai i colori più belli, i migliori possibili, teatro e scena, attraverso le figure che accompagnano il protagonista, piccole e insignificanti figurine umane che soffrono, subiscono, eccitano, uccidono ma che non smettono, parola per parola, attimo dopo attimo, di rivelarsi nel loro assoluto impatto drammatico e comico insieme. Candido o il contrasto.
Mettere in scena il Candido vuol dire mirare all’universalità stessa del teatro; il teatro che riunisce l’umano con l’altro essere umano nella visione più limpida di Brook. Fare Candido oggi, significa cercare la voce degli uomini per recarsi all’orto delle solitudini e farlo diventare l’orto della moltitudine e coltivarlo tutti insieme. Sarebbe difficile, spiega Voltaire nel Dizionario Filosofico, coltivare ognuno e in assoluta solitudine l’orto della propria esistenza; bisogna collaborare affiché queste infinite distese di terra producano qualcosa e sfamino dentro e fuori le moltitudini questa è, forse, l’unica soluzione alla prevaricazione fisica e morale, alla depressione collettiva, alla paura, all’autodafé.

Candido o la bellezza dei giovani. Nell’era del nichilismo congenito, Voltaire può parlare ai giovani proprio in funzione dell’universalità del testo e del messaggio in esso contenuto, parla attraverso le inconsapevolezze del protagonista, parla ai giovani del Vajont come a quelli di Amatrice, a quelli di Lisbona martoriata dal terremoto nel 1755, ai giovani di Aleppo e a quelli spazzati via dalla furia terrorista, a quelli alienati. Candido o l’ottimismo, reso nel caleidoscopio teatrale, è un inno alla vita.